LO SGUARDO DELLA RELAZIONE

“Adesso tocca me, non ho giocato per niente.” – Mara

“Si che hai giocato, mi hai guardato!” – Andrea, 4 anni

Mi piace osservare i cambiamenti che lo sguardo racconta.

È come seguire un racconto solo leggendo le sfumature dello sguardo. Quando si apre, di fronte alla sorpresa o si perde assorto, seguendo il filo dei pensieri. Immagina e costruisce progetti. Si chiude arrabbiato con le sopracciglia che disegnano una V sulla fronte, e, poi, si spegne, triste, per un gioco rotto o i no della mamma e del papà. Si contrae per lo spavento, per suoni forti o movimenti inaspettati, si commuove quando ascolta il cuore.

Lo sguardo ha la capacità di descrivere chi lo vive e di raccontare con magistrale competenza il suo sentire, a volte, molto meglio delle parole che non sempre sono in accordo con l’ascolto del corpo.

Lo sguardo diventa espressione del sentire.

Il bambino impara molto presto a guardare ciò che lo circonda. I suoi occhi si aprono durante la gestazione e iniziano ad interagire con la madre e l’ambiente.

I sensi si sviluppano molto presto e diventano lo strumento che permette al bambino di iniziare a costruire una relazione con la sua mamma.

La può toccare, annusa l’odore del liquido amniotico e, con gli occhi, mese dopo mese, inizia ad incontrare la luce e l’ombra. Nella pancia, il corpo della madre diventa un contenitore che racconta emozioni, ansie, stati d’animo, il futuro, e il feto rimane in ascolto di ciò che lo circonda.

Dopo la nascita i sensi gli permettono di continuare a sviluppare le sue capacità relazionali in risonanza con la madre e con il padre. Il bambino riconosce la voce della madre, familiare e unica, tanto da poterla distinguere fra tante altre voci. L’odore è un altro elemento relazionale importante e infine, attraverso, lo sguardo incontra e guarda la madre.

E lo sguardo che mamma e bambino si scambiano è un caldo abbraccio che rassicura entrambi.

“Che cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre? Secondo me di solito ciò che il lattante vede è sé stesso. In altre parole la madre guarda il bambino e ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge.” (D. W. Winnicot)

Lo sguardo e il corpo iniziano un racconto.

La parola non è ancora necessaria per creare una relazione perché, in questa fase della vita gli sguardi lunghi e ripetuti durante l’allattamento, accompagnano le parole della mamma e catturano completamente l’attenzione del bambino che rimane assorto, rassicurato dalla vicinanza del corpo  della madre, in risonanza.

Mi sento al sicuro, vicino a te!

“I sensi sono punti di contatto con l’ambiente e la mente esercitandosi ad osservare l’ambiente acquista l’uso più raffinato di questi organi, come un pianista può trarre dalla stessa tastiera suoni che possono variare in perfezione infinita.”  (M. Montessori)“

Attraversato da innumerevoli sfumature, lo sguardo, si sviluppa e il bambino ne diventa consapevole  grazie alle parole della mamma e del papà che trovano tanti, infiniti modi per descrivere le espressioni, con cui manifesta emozioni e sentimenti. Insieme inventano piccoli rituali e giochi che iniziano a definire una comunicazione e soprattutto una relazione loro.

Lo sguardo diventa relazionale.

Ed è proprio in questo periodo della vita, quando la crescita impone nuove distanze fra il corpo del bambino e quello dei genitori, che lo sguardo diventa la bussola per non perdersi.

Rimane custode delle emozioni ma assume nuovi significati. Da una parte sostiene la scoperta del mondo e dall’altra mantiene il legame con i genitori nella distanza che, via via, si rende necessaria per diventare grandi. E nell’atto di scoprire il mondo, il bambino si cimenta nella costruzione del pensiero.

Vista e mani imparano a fare…insieme.

C’è prima la fase di anticipazione: la mano “vede” l’oggetto da afferrare e vi adatta la sua presa; poi il contatto manda al cervello informazioni ricevute dai sensi. In seguito vi è al momento della cognizione, quando si dà un nome a ciò che si tocca, e si conclude con la riflessione su ciò che si è appena fatto. Questo ciclo ha bisogno di numerose prove per essere completato. Non disturbiamo quindi un bambino impegnato in un’attività. (G. H. Fresco).

Poco alla volta, il bambino affida agli adulti il compito di mantenere, attraverso lo sguardo, una vicinanza rassicurante che permetta loro di seguire le sue azioni da lontano:

guardami!

Nel tempo, però, impara a trasformare lo sguardo degli adulti in un ricordo che rimane anche quando questi sono lontani, consola nei momenti di lontananza, diventa un pensiero che si trasforma in memoria, e, infine, in simbolo, fino ad  imparare ad immaginare.

Il suo sguardo cambia. Il sorriso lascia il posto ad una apparente serietà. Il bambino è attento alle sue mani, se stanno creando qualcosa, al corpo se è impegnato in una corsa.

Nello sguardo sono racchiuse le emozioni del legame e della relazione con i genitori ma questo racconta, anche, il suo modo di partecipare e rispondere ai cambiamenti che l’ambiente richiede. Scopre il suo unico modo personale di guardare, pensare, ricordare, immaginare.

E inizia a relazionarsi con il mondo.

“La memoria non è solo ciò che possiamo ricordare consciamente del passato; secondo una definizione molto ampia, è l’insieme dei processi con cui gli eventi del passato influenzano le risposte future; il cervello interagisce con il mondo e registra le diverse esperienze attraverso meccanismi che modificano le successive modalità di reazione.”  (D. J. Seigel)

Se si presta molta attenzione, questo è proprio il momento in cui è possibile vedere la nascita del pensiero.

Compare una concentrazione che prima si poteva vedere per brevi momenti, spostata dall’istinto e  dal bisogno del corpo di muoversi. La sua presenza viene sottolineata dal silenzio e dalla pazienza di provare e riprovare fino ad ottenere il risultato dell’azione soltanto immaginato. In un tempo che si allunga, il pensiero accompagna azione e movimento. Ed è ora che fa capolino la creatività, sostiene le scoperte del bambino e lo aiuta ad ascoltare, senza paura, il desiderio di superare i suoi limiti, confrontandosi con l’inaspettato.

Il bambino impara ad imparare.

 

I Racconti della Relazione

“Niente esiste mai interamente da solo.

Tutto è in relazione con qualcos’altro.”

Buddha

 

La relazione è un tema molto ampio ed è difficile descrivere tutte le forme nelle quali si manifesta.

Accade fra le persone naturalmente. A volte le sfiora delicatamente, altre irrompe con energia e scombussola le certezze, cambiandole tutte.

È il punto d’incontro fra le persone.

Ma come si impara a relazionarsi con l’altro?

La relazione racchiude la storia della persona, la nascita, l’incontro con i genitori, come ha imparato a dare e ricevere amore, come dà significato alle cose e alle azioni, come guarda il mondo. Racconta la storia familiare, la costruzione dell’identità e crea un ponte fra passato e futuro.

Se immagino la relazione mi viene in mente una matrioska di tanti pezzi. Ogni pezzo è simile al precedente, uguale ma profondamente diverso; più piccolo, con la doppia funzione di contenitore e contenuto. Ci sono tanti pezzi che non sono visibili ad uno sguardo superficiale, si mostrano solo prestando grande attenzione, perché la matrioska non è una semplice statuina. Il gioco, con matrioska, è sempre simile, si apre, si provano tutte le combinazioni possibili e poi si torna alla situazione iniziale: una statuina che contiene tanti oggetti, scuotendola suona come uno strumento musicale.

La relazione come la matrioska è definita da tanti elementi che la contengono e ne definiscono il contenuto in un dialogo continuo di ascolto di corpo e pensiero.

Il modo in cui si creano le relazioni racconta la storia individuale e mostra l’identità e unicità della persona.

Sono andata a ricercare gli elementi relazionali che mi sembrano importanti per continuare a raccontare lo sviluppo e la crescita del bambino.

Ho affidato all’osservazione del quotidiano con le sue azioni che sembrano, a volte, un po’ scontate, il compito di rintracciare caratteristiche uniche della relazione, utili per la comprensione della crescita.

Perché non è semplice comprendere che ogni azione racconta il desiderio di creare una relazione con l’altro.

Lo sguardo, silenzio, noia, creatività sono alcuni elementi relazionali che ritengo importanti per comprendere come i bambini raccontano scoperte, paura ma anche desiderio di continuare a scoprire cose nuove, costruendo il loro racconto personale in relazione al mondo e agli altri.

In continuo equilibrio fra passato e futuro.

 

 

 

 

 

GLI ALBERI E IL NATALE CAPITOLO 3

L’ALBERO DAI PIEDI FREDDI

Mi chiamano l’Albero dai Piedi Freddi e se mi vuoi venire a trovare, abito in montagna, proprio dietro la casetta con il tetto rosso. In estate, le faccio tanta ombra ma quando la vedo tutta coperta di neve, il camino fumante, capisco che è arrivato il Natale.

Brrr….che freddo!…Vado subito a cercare, dentro il mio grande tronco, un calzino molto speciale, perché è il calzino del Natale.

Ecco, è ora di indossarlo. Uno, due, tre; me lo metto ai piedi e tiro su, fino alla testa.

Sono quasi pronto….mi mancano solo le palline e una stellina, e finalmente è Natale.

Come sto?

 

 

L’ALBERO PICCOLO E L’ALBERO GRANDE

Benvenuti anche quest’anno, alla scuola, per diventare Alberi di Natale.

Grande Abete di Natale è il mio maestro, è bellissimo, luccica ed è colorato.

Quando divento grande, voglio proprio essere come lui, alto, e pieno di palline!

Ma ora, bando alle ciance, bisogna imparare, Natale è vicino. Prendo dei ciuffetti di lana, belli come i suoi, li arrotolo, arrotolo, arrotolo e, faccio piccole palline soffici, come la neve. Le appoggio fra i miei rami, mi metto dritto, e faccio attenzione a non farle cadere, proprio come un equilibrista.

Maestro, guarda sono pronto!

Eh no, ti manca ancora la Stella del Natale. Hai detto niente?
Tieni la testa in alto e non abbassare il mento, non farla cadere, e poi la appoggi delicatamente sulla testa.
Fai attenzione, perché è fragile, quest’anno le stelle sono di ghiaccio. Ora, si, che sei pronto!

È vero! Così, mi sento un bellissimo Albero di Natale.

L’ALBERO ELEGANTE

È tardi! Hai deciso come ti vestirai?
Esci dall’armadio, e fai presto, gli altri alberi sono già tutti pronti!

C’è un albero che non sa mai come vestirsi, a Natale. È il più difficile, non è mai contento. Cambia sempre idea, ed è sempre in ritardo.
Quando arriva Natale, si infila con tutta la testa nell’armadio e non lo si vede più. E quando ricompare è ancora più indeciso di prima.

Lo so, sono sempre dubbioso….e un po’ vanitoso.

Mi vesto di rosso, come l’anno scorso, oppure scelgo il blu? O meglio l’oro, come ho letto sul giornale degli alberi eleganti…

E se provassi qualcosa di nuovo?!
Che ne dite del rosa, sarà troppo stravagante?….mi starà bene?

Uff, non so proprio cosa fare….

Quasi, quasi, apro il baule del Natale, e chissà, che non trovi qualcosa di speciale.

Tiro fuori tutto!
Ho trovato!…Prendo i fili di lana li arrotolo tantissimo e li trasformo in soffici pon pon. Ce ne vogliono tanti, fino in cima.

Bello, si! Mi piace proprio.

Manca solo un cappello vistoso. Mi rituffo nel baule perché ho visto una stella che fa al caso mio, grande e brillante, come la cometa.
E per finire, un giro di perle scintillanti, e, come ogni Natale sarò il più elegante.

Basterà?…..

 

 

AUGURI DI BUON NATALE

 

GLI ALBERI E IL NATALE (Capitolo 2)

L’ALBERO LUCCICOSO.

 

È vero, mi dicono tutti che sono un albero sbadato perché non guardo mai dove metto i piedi.

Certo, ho sempre la testa fra le nuvole!

E di notte, quando sono solo, alzo lo sguardo al cielo e mi perdo tra le stelle.

Sono fatto così!

Immagino di mangiare tutte le stelle, soprattutto quelle cadenti, che sono le più golose. Le nascondo nel mio pancino e quando sono pieno mi sento anche un po’ pesante, ma basta che mi metta a testa in giù, e voilà, illumino tutta la stanza.

Poi, prima di uscire, guardo dalla finestra, e, se scende la neve, indosso una sciarpina luminosa, perché fa freddo, con il mio cappello a forma di stella, felice, me ne vado in giro a illuminare tutto il Natale.

 

 

L’ALBERO GOLOSO

 

Io sono il VERO albero di Natale, ho le mie palline, le mie stelline, e non mi manca proprio niente…anzi ho anche dei doni dolci, ma li nascondo tutti sotto la gonna.

L’ho detto, sono goloso e li voglio tutti per me.

Ma poi succede che arriva Natale, e mi viene voglia di essere guardato per bene. Allora, poco a poco, mi avvicino fino a mettermi in posa, in bella mostra, bello dritto sopra il tavolo.

E che succede?

Ascolto i grandi e i piccini che sorridono e si raccontano cose belle e mi viene voglia di partecipare.

Allora alzo un angolino della gonna e mostro il mio regalo.

È davvero Natale!

 

 

 

L’ALBERO IN EQUILIBRIO

 

Driiin!!….Sta arrivando il Natale, è ora di costruire il nuovo albero.

Ma siamo già a Natale? Io ho ancora sonno!

Tiro fuori il mio progetto, l’ho pensato per tutto l’anno!

Quest’anno l’albero sarà molto alto, un po’ rosso, ma non troppo e in equilibrio su una bacchetta, con tante palline rotolanti che vanno proprio dove vogliono.

Eh già, ma è questo il bello!

Vediamo se c’è tutto. I pezzetti di legno, un po’ di rosso Natale, il nastro per il fiocco e la bacchetta, dov’è? Non si può fare un albero-torre senza bacchetta.

Eccola! Si era nascosta, ben bene, nel quaderno e non la trovavo più.

Prendo tutti i pezzettini di legno e, li metto uno sopra l’altro, sopra la bacchetta.

Piano piano, fino in alto. Ora sistemo il fiocco.

Ed ecco fatto! Un vero altissimo e bellissimo albero-torre.

Aiuto, cade giù!

È proprio difficile fare un albero in equilibrio! Cade sempre. Ma io ho coraggio e pazienza, e allora, ci provo e ci riprovo. Rimetto tutti i pezzettini, uno sopra l’altro e, infine, metto un bel fiocco rosso in cima.

Ecco fatto! Il mio super albero-torre.

 

Foto credit: Cristina Faramo

STORIA DI UN ALBERO DI NATALE

“Se io fossi il mago di Natale
Farei spuntare un albero di natale
In ogni casa, in ogni appartamento
Dalle piastrelle del pavimento,
ma non l’alberello finto,
di plastica, dipinto,
che vendono adesso all’Upim:
un vero abete, un pino di montagna,
con un po’ di vento vero
impigliato tra i rami,
che mandi profumo di resina
in tutte le camere,
e sui rami i magici frutti: regali per tutti.
Poi con la mia bacchetta me ne andrei
a fare magie
per tutte le vie. […] “

Gianni Rodari

 

Credo che fosse aprile, quando una sera, tornando a casa, ferma ad un semaforo lo sguardo si è arrampicato, uno dopo l’altro, sui balconi del palazzo alla mia sinistra. Mi annoiavo, la fila era lunga davanti a me, e poi…dietro al vetro di una finestra, eccolo, un gigantesco albero di Natale illuminato. È stato un incontro così inatteso, che, a quel punto, avrei, volentieri, sostato al semaforo ancora un po’. In un momento, mi sono ritrovata con la testa piena di domande.

Perché quell’albero era così speciale, tanto da non volersene separare, e da sacrificare tutto quello spazio?

Dopo aver scartato tutte le ipotesi ne ho tenuta una sola. Quel grande albero occupava il cuore di ricordi belli che nessuno aveva fretta di riporre in una scatola, dimenticandoli nell’armadio, fino al prossimo natale.

Ho chiesto a Cecilia Marra e Cristina Faramo, che riescono a immaginare e interpretare le suggestioni natalizie, di aiutarmi ad individuare suggerimenti per creare un albero natalizio che accompagni il Natale di luce, sogni, desideri.

Creativamente.

 

 

GLI ALBERI E IL NATALE

 

C’erano una volta tanti alberi diversi che aspettavano il Natale tutto l’anno.

Ogni anno, alla fine di novembre, gli alberelli iniziavano ad agitarsi perché il Natale era alle porte. Presto, presto! È ora di cambiarsi, Natale si avvicina….

Siete tutti pronti?

 

CAPITOLO 1

 

L’ALBERO DELL’AUTUNNO

 

L’albero dell’autunno è sempre il primo che comincia a vestirsi. Va in giro nei parchi della città, pensieroso, perché è difficile diventare un albero di Natale, con tutte quelle foglie rosse. Ma lui ha trovato un modo per diventare un vero albero di Natale: raccoglie le foglie in piccoli ciuffetti e li mette uno sopra l’altro fino a diventare alto e slanciato come un abete.

Sono fantastico! Sono un albero di Natale, rosso fiammante.

Tutte le notti guarda il cielo e scruta le stelle, pronto ad acchiapparne una, con un filo di luce. Le guarda a lungo e poi sceglie sempre una stellina gentile da tenere sopra la testa come cappello.

Eccola!

Ora si, che sono pronto!

 

L’ALBERO DELLA PASTA

 

L’albero della pasta vive tutto l’anno nella dispensa della cucina e all’arrivo del Natale inizia a sentire un grandissimo fermento: rumore di pentole, ciuffi di farina svolazzante e l’odore del panettone che si sparge ovunque.

Che confusione!

I piatti della festa, tutti in gran spolvero, non vedono l’ora di uscire dall’armadio per finire dritti, dritti sulla tavola, che meraviglia!

È arrivato il Natale, devo uscire anch’io, si dice l’albero della pasta, sempre più trepidante.

Ma come mi vesto?

Semplice, comincio dalle fronde: raccolgo due farfalle, le unisco con il filo che passa dentro un tubicino, e con un altro filo più lungo le metto tutte insieme, un fiocco rosso sulla testa e poi….

giro, giro, giro…e ballo per tutte le feste.

 

 

 

LA CREATIVITA’ IN MOVIMENTO                                                                

Ho cercato un sinonimo di creatività: estro, estrosità, fantasia, fecondità, inventiva, vena, sono tutte parole briose, vive, in movimento ma secondo me ne manca una, la più importante:

libertà.

“Un metodo educativo che abbia per base la libertà deve intervenire per aiutare il bambino a conquistarla e deve avere per mira la sua liberazione da quei legami che ne limitano le manifestazioni spontanee. […]

Ecco perché la prima forma di intervento educativo deve avere lo scopo di condurre il bambino sulla via dell’indipendenza.”  Montessori

Quando pensiamo alla creatività ci vengono in mente soprattutto oggetti, quadri, libri, fotografie, creazioni eseguite con le mani e il pensiero, esse coinvolgono una parte evoluta del sistema nervoso centrale che nell’integrazione con emozioni e ascolto del corpo, definiscono la creatività individuale.

Ma la prima esperienza nella quale il bambino sperimenta la creatività è il movimento. Il corpo si muove, cambia posizione, si ritrae, si allunga e si fa piccolo piccolo, si adatta agli spazi e all’ambiente che difficilmente rimane uguale a sé stesso.

Sono due elementi vitali che si incontrano.

Il bambino dedica molto tempo a conoscere l’ambiente, adattandosi, e, se possibile, anticipandone i cambiamenti. Il desiderio di esplorare ciò che lo circonda gli permette di affrontare il primo di una lunga serie di fallimenti, e poi, ne incontrerà altri fino alla fine dell’esperienza, per un tempo variabile, difficile da definire.

Ed è come se dovesse camminare su una strada che, dopo l’asfalto, diventa sterrato e infine sabbia che in un attimo, viene sommersa dall’acqua.

L’instabilità dell’ambiente impone al corpo azioni e modificazioni repentine in un adattamento veloce: le mani lavorano insieme, l’ampiezza dei passi si alterna a piccoli passi veloci, l’equilibrio improvvisamente sposta il corpo in avanti, e se si cade bisogna farlo al meglio, per attutire l’incontro del corpo con il suolo.

Il movimento libero nello spazio diventa laboratorio delle esperienze. Nell’azione il bambino si ascolta e usa tutto il corpo: gambe, braccia, busto, testa, sviluppa e  sperimenta infinite combinazioni nuove per sintonizzarsi con l’imprevedibilità dell’ambiente.

“Il piacere senso-motorio è l’evidente espressione dell’unità della personalità del bambino, perché crea la connessione tra le sensazioni corporee gli stati tonico- emozionali […] .”  Aucouturier, Derrault, Empinet

Se il bambino può sperimentare liberamente, nel tempo, il pensiero si evolve, diventa complesso, capace di trovare soluzioni ingegnose, nuove, a volte bizzarre. Le sue produzioni raccontano il divertimento, l’attenzione e l’ispirazione in cui si è imbattuto per creare un nuovo gioco, una storia.

Gli atteggiamenti che sostengono la libertà di movimento:

  • Incoraggiare i bambini quando svolgono un’attività manuale: “Ancora un piccolo sforzo!”, “Sei bravo continua così.”
  • Lasciare a loro disposizione gli strumenti necessari a svolgere un lavoro senza che debbano chiedere il nostro aiuto .
  • Avere un atteggiamento positivo e collaborativo nei confronti delle richieste dei nostri bambini di muoversi ed esplorare.
  • Accogliere positivamente le loro richieste e il risultato dei loro sforzi:”hai svolto il tuo lavoro con grande concentrazione!.” “Ti sei impegnato molto!”. Grazia Honegger Fresco

La creatività – che non conosce confini – si diverte a spostare e mischiare le attività, si espande nel pensiero e questo si modifica, diventa veloce, inquieto a tratti, ma soprattutto flessibile, proprio come il movimento.

Dopo aver sperimentato tanti movimenti diversi e sempre più complessi il bambino può finalmente fermarsi e la creatività cambia forma. Pur mantenendo la sua natura curiosa e imprevedibile, il pensiero inizia ad intervenire nelle attività creative coinvolgendo le mani per sperimentare altre possibilità espressive.

Sente il desiderio di condividere le sue esperienze con l’altro, ed è, quindi, necessario, che il movimento rallenti. Le pause consolidano l’ascolto consapevole del corpo, più lento e riflessivo e l’istinto lascia spazio ad una maggiore intenzionalità che gli permette di creare movimenti finalizzati al raggiungimento di uno scopo.

Perché non c’è niente di più bello che ricevere lo stupore di mamma e papà di fronte all’inaspettato che attesta, meglio di tutto il resto, le sue capacità creative.

“Negli adulti, la creatività scaturisce dalle stesse fonti e ha le medesime motivazioni del gioco creativo del bambino. Nasce dal desiderio del piacere e dal desiderio di esprimersi. È caratterizzato dallo stesso atteggiamento che si nota nel gioco infantile. E come il gioco infantile, produce piacere. Nel processo creativo c’è anche un elemento di divertimento, perché la creatività trae sempre origine da una simulazione  – cioè, richiede la sospensione di ciò che è conosciuto riguardo alla realtà esterna in modo da permettere al nuovo e all’inaspettato di emergere dall’immaginazione. Da questo punto di vista, ogni individuo creativo è simile a un bambino.”  Lowen

Sperimentarsi liberamente nello spazio, permette al bambino l’esplorazione, migliora la capacità espressiva, incoraggia l’autoregolazione, porta un beneficio alla sua crescita. La libera esplorazione dell’ambiente lo aiuta nell’ascolto di sé e dell’altro, rispettosa e adeguata alle sue capacità evolutive e alla sua natura, in equilibrio con i suoi bisogni profondi, con la percezione di spazio, tempo e relazione.

È l’incontro con l’imprevedibile.

E, se da una parte la novità diverte dall’altra può far emergere vulnerabilità e paura. La presenza dei genitori, la sua base sicura, mitiga lo spavento, rendendo più semplice esplorare ciò che non si conosce.

La libertà si conquista.

E perché non sia per il bambino, fonte di confusione e disagio, è necessario che la distanza dalle figure di riferimento non sia mai eccessiva e che lo sostengano facendogli percepire la sicurezza anche in uno spazio che lentamente si dilata ma che non gli faccia perdere i suoi punti di riferimento.

Un contenitore  relazionale.

Un contenitore in cui la presenza, l’attenzione, la curiosità dei genitori nei confronti delle produzioni del bambino in questo momento della crescita, è quindi, molto importante, rassicura, accoglie il fallimento trasformandolo in nuove possibilità ma soprattutto riconosce il valore personale del bambino nella scoperta della sua unicità.

CHI SONO IO?…IO, NATURALMENTE!                                                                 

Emozioni, sensazioni, parole, fiducia e creatività sono i fattori che ci permettono di dar vita alla nostra unicità, come questa si esprime nell’incontro fra corpo e pensiero, in un equilibrio dinamico e mutevole.

“Il vasaio mette la creta al centro del tornio, poi comincia lentamente a farla girare combinando l’acqua e un tocco della mano delicato ma fermo per darle forma, finché non emerge un oggetto unico, da apprezzare e usare nei più diversi modi.” J.C.Mills, R.J.Crowely            

La costruzione dell’unicità accompagna sempre l’individuo, anche in età adulta. Perché la vita modifica il suo sguardo, il comportamento, l’ascolto di ciò che lo circonda. Durante l’infanzia, il bambino ricerca nell’ambiente tutti gli elementi che gli servono per vedersi e riconoscersi sempre più chiaramente; le esperienze diventano tanti piccoli specchi, che uniti, l’un l’altro, riflettono la sua immagine e lo aiutano a scegliere il posto che desidera occupare nel mondo.

Sentirsi unici è un’altalena fra il bisogno di riconoscersi come l’altro e un po’ diverso, unico: creare un movimento armonico fra queste due spinte, che conducono in direzioni opposte.

Non è mai semplice.

Può apparire paradossale, poiché coloro che sono coraggiosi e ricercano la novità possono essere anche coloro che hanno avuto le vie più efficienti per tornare verso la sicurezza. Non è che cerchiamo la novità per il gusto di “cercare il nuovo.” Nella vita, le persone che sono anche dei pensatori audaci sono disponibili ad affrontare delle scommesse. Non sono insicuri davanti alle situazioni nuove. Sono anche persone che possiedono forti reti di supporto sociale e che non avvertono che la scommessa rappresenti davvero una minaccia di vita.”   Porges

Da dove si comincia.

Comincerei dall’importanza di sentirsi sicuro.

Il senso di sicurezza, che caratterizza anche altri aspetti della crescita, descritti   precedentemente, è un elemento importante, e il bambino impara a svilupparlo quando è molto piccolo. I genitori, con gesti di cura gentili, risvegliano l’energia e il piacere della vicinanza, accompagnandolo con un lungo sguardo attento e curioso che ogni volta si rinnova di significati diversi.

Sei qui!

Ritrova lo sguardo di mamma e papà, enfatizza la scoperta con sorrisi e piccole parole in costruzione. Questo è davvero un momento nel quale il bambino si sente sicuro.

Non manca proprio niente.

È il principio dell’unicità: racconta la storia che riceve come eredità della sua famiglia, si sente simile a papà e mamma, usa il loro stesso codice sociale per comunicare i suoi bisogni.

La sicurezza attiva nel bambino, il desiderio di conoscere ciò che è diverso da sé ma per non fare confusione, fra sé e l’altro, è importante. È necessario, infatti, che riconosca le sue emozioni e quando, poco più avanti, scoprirà che la creatività è un bellissimo strumento per esprimere sé stesso, potrà, finalmente, sentirsi capace di occupare il suo posto nel mondo.

Ma prima di arrivare a questo passaggio di crescita serve ancora l’aiuto dei genitori, che, con le loro parole, quotidianamente, sottolineano il significato delle azioni, e senza farci troppo caso, volgono lo sguardo al futuro. A volte anche con impazienza. Le parole diventano sempre più complesse, perché sono tante le cose da dire. Compaiono regole, appuntamenti, spiegazioni, che se elaborate con più attenzione,  risultano decisamente molto efficaci. 

Perché le spiegazioni sono il momento del riordino nei pensieri e ci aiutano a definirne priorità e obiettivi. Quando ci occupiamo dell’organizzazione della giornata ci vengono in mente azioni pratiche, compiti: come vestirsi o preparare lo zaino. La  funzionalità, a volte, prende il sopravvento e le emozioni scivolano via, occupando l’ultimo posticino nelle frasi.

O sono proprio dimenticate.

Le emozioni non sono semplici da spiegare e neppure descrivere come si manifestano, invadono velocemente il corpo e si acquietano lasciando mente e corpo un po’ frastornati. Il tempo e la fatica, spesi nella ricerca di parole significative per raccontarle, proteggono, però, il bambino dalla confusione, dal senso di solitudine, vergogna.

E se il genitore osserva le reazioni del bambino e gli descrive le sue emozioni non utilizzando solamente la definizione astratta dei sentimenti, sarà per lui di grande aiuto: gli svelerà, infatti, il sentire che egli riconoscerà come espressione del suo personale modo di essere. La vicinanza con i genitori, poi, limiterà o ridurrà la sensazione di pericolo, insegnandogli, via-via, a regolare le emozioni.

Non ti preoccupare, sono qui con te.

È un momento della relazione che mi piace molto. L’adulto e il bambino si ritrovano dalla stessa parte e, da questa prospettiva, si possono sentire, pensare e immaginare soluzioni che non solo rassicurano, ma fanno ricordare il futuro, come dice Seigel.

Il bambino possiede, finalmente, tutto quello che gli serve in questa fase della crescita, emozioni, autonomia, curiosità, creatività, per iniziare ad abitare la sua unicità. La sua personalità diventa più manifesta e si individuano le sue caratteristiche personali.

“Resilienza: quanto lentamente o velocemente siete in grado di superare le avversità. Attitudine: quanto a lungo riuscite a sostenere emozioni positive. Intuito sociale: quanto siete capaci di cogliere i segnali sociali trasmessi dalle persone intorno a voi. Autoconsapevolezza: quanto siete in grado di percepire le sensazioni corporee che riflettono emozioni. Sensibilità al contesto: quanto siete capaci di regolare le risposte emozionali in funzione del contesto in cui vi trovate. Attenzione: quanto sono chiari e precisi i vostri processi di focalizzazione. Davidson,Begley

Faccio da solo!

Sente il coraggio di guardare le difficoltà, capace di pensare e attuare soluzioni personali per risolvere i problemi che si presentano.

Realizza la sua realtà seguendo il filo dei suoi pensieri, la sua immaginazione e si mostra all’esterno, a scuola, con gli amici, negli sport permettendosi, ora, di fare nuovi esperimenti di crescita, non solo con gli oggetti, ma anche con la relazione e con la sua personalità.

“Un giorno sono vento

Un giorno spento

Un giorno solleone

Un giorno l’acquazzone

Un giorno sono gioia

Un giorno solo noia

Un giorno l’avventura!

Un giorno ho un po’ paura […]

Ma giorno dopo giorno

io sono qui che aspetto.

Se un giorno mi vorrai

non chiedermi chi sono

Un giorno sarò foglia

se un giorno sarai ramo.”   

Io sono foglia – A. Mozzillo, M. Balducci

LA FIDUCIA DEL CUORE

“Caro mio, la felicità bisogna conquistarsela!”

lo ammonì un giorno il Gufo. “Esci dalla tana e vai a cercarla.”

Così, il mattino seguente di buon’ora Piccolo Orso si mise in viaggio alla ricerca della felicità.  Piccolo Orso a caccia…….di felicità – Waltraud Egitz, Lucia Scuderi

Sentire di avere abbastanza fiducia nelle proprie capacità è una conquista continua che inizia nell’infanzia e che prosegue durante tutto l’arco della vita.

La fiducia va alimentata giorno dopo giorno.

Difficile definire con precisione se si tratti di un’emozione, un sentimento, un’abilità o una conquista. Resta il fatto che quando la mamma si abbassa all’altezza del viso del bambino e con un grande sorriso apre le braccia il bambino senza esitazione corre per ricevere e cadere nel suo abbraccio.

Nessun gioco può competere con l’abbraccio dei genitori.

Impossibile spiegare quest’azione istintiva con la logica, è un movimento antico che ha a che fare con il primo periodo della vita, quando il bambino dipende totalmente dalle cure materne e paterne.

Nell’incontrare l’altro, per comunicare, possiamo usare le parole, il movimento, le canzoni, ballare ma vi sono anche tanti altri elementi e, fra questi, vi è anche la fiducia nei confronti degli altri prima, e in sé stessi, successivamente.

Gli adulti hanno idee chiare rispetto ai sentimenti derivanti dalle emozioni, la gioia, la paura, tristezza e rabbia, meno per quanto riguarda la fiducia.

Le emozioni possono mantenere nel pensiero la loro natura istintiva e ogni tanto  vengono razionalizzate attraverso il disegno o le spiegazioni, ma la fiducia non ha un posto definito e, a volte, rischia di essere dimenticata.

E invece ci definisce come individui sia da bambini che come adulti, definisce il nostro carattere e le relazioni interpersonali che costruiamo.

Il bambino quando è piccolo riceve le coccole dai genitori, sente il loro corpo vicino e questa vicinanza gli trasmette sensazioni piacevoli e a volte di paura: quando il gesto e il movimento creano una separazione inaspettata e imprevedibile.

Ma poi si torna a stare vicini.

Il corpo partecipa attivamente a questo incontro, in un dialogo tonico nel quale sente di potersi arrendere, rilassandosi mentre ascolta i piccoli rumori della casa, la porta che si apre, il miagolio del gatto, la sveglia che suona.

“Quando il nostro ambiente è positivo, l’energia vitale del nostro corpo si espande: allarghiamo le braccia e siamo raggianti di gioia. Quando l’ambiente è negativo, tendiamo i muscoli ci ritiriamo in noi e diventiamo pallidi e silenziosi. In questo modo l’essenziale dell’uomo, il suo carattere si àncora attraverso le emozioni nel suo corpo. Un’emozione non è un’idea o un’immaginazione – è un processo energetico nel corpo, qualcosa che fluisce in noi. Attraverso la nostra energia fluida siamo legati tra di noi e con la terra e insieme avvolti nell’energia cosmica. Un’energia vitale in equilibrio e flessibile è segno di salute fisica e psichica.”  S.Wendelstadt

La rassicurazione dona al bambino la sicurezza necessaria per aprirsi al mondo, e il corpo manifesta tale apertura attraverso la flessibilità; il rilassamento o l’irrigidimento della muscolatura esprimono la sua reazione alle emozioni e agli stimoli che riceve. Nell’abbraccio si apre ma quando sente un rumore improvviso si irrigidisce e impara a difendersi.

Apertura e chiusura si susseguono creando un ritmo semplice e vitale.

Un ritmo che nella ripetizione diventa una consapevolezza inconscia, permette al bambino di conoscere ciò che lo fa stare bene e ciò che gli crea paura, perché il corpo riconosce entrambe le sensazioni anche senza bisogno del pensiero

ma fidandosi di sé.

“Se siamo in grado di creare ambienti sicuri, possiamo avere accesso ai circuiti neurali che rendono possibile l’essere sociali, l’apprendere e il sentirci bene.” Porges

Arrivano i borbottii, i sorrisi, le risate, pianti e parole adoperati dal bambino per chiedere di essere ammesso alla vita sociale della famiglia.

Eccomi, sono qui!

Il suo tono deciso segna un importante cambiamento nella relazione con l’adulto.

La separazione rompe il dialogo tonico e lo smarrimento disturba il ritmo familiare che fino ad allora è stato come un’onda del mare e che ora fatica a mantenere immutata la sua natura; aumentano i dubbi, la logica arriva in soccorso, sostituendosi all’istinto, e qualcosa si perde.

Ora si, che siamo distanti!

Improvvisamente sembra che sia tutto da rifare, non ci si capisce né con lo sguardo  ma neppure con le parole.

Mi sa che non ci capiamo, io e te…

ed è proprio in questo momento che la fiducia viene dimenticata da qualche parte.

Sembrava tutto chiaro e invece ora il bambino viene guardato come se fosse incapace di fare da solo, anche le più piccole cose, il tempo accelera, ogni azione viene spiegata nel suo farsi e ogni sfumatura viene tolta alla libera sperimentazione per diventare apprendimento.

Si deve fare cosi!

Ma tutti i suggerimenti dell’adulto difficilmente vengono accolti e soprattutto compresi  perché imparare è un atto creativo ricchissimo che non si può ridurre al “si fa così.” Prima è necessario fare confusione, lasciarsi trasportare dell’intuizione, cambiare e sottolineare con la voce l’entusiasmo delle scoperte.

Le attività del bambino mettono a dura prova la pazienza dell’adulto che guarda tutto questo laboratorio di idee in azione e riesce solo a vedere il disordine che si espande anche nelle emozioni, le parole e i significati.

La confusione porta a dimenticare il progetto educativo per il bambino che a sua volta si ritrova confuso, fino a sentirsi responsabile di tanto fallimento.

Sentire e sentirsi sentiti

è una delle chiavi per cambiare il presente e per risolvere questo momento di crisi, a patto che l’adulto riprenda il suo posto accanto al bambino. Mettersi in ascolto cambia molto le cose, ricostruire la complicità, la curiosità e il piacere della condivisione aiutano adulto e bambino a sentirsi compresi e ascoltati. È essenziale alleggerire la comunicazione ricordandosi che il bambino ha bisogno di messaggi semplici e coerenti per comprenderne il significato.

Mi fido di te

“Piccolo Orso era contento che il Grosso Orso lo avesse accolto con gentilezza. Verso sera gli raccontò quello che gli era capitato durante la giornata: come si era fermato a riposare accanto al ruscello, come aveva salvato la vita all’uccellino e come aveva diretto il coro delle rane. 

E non ti sei sentito felice? Domandò il Grosso Orso. Piccolo Orso ci pensò su: certo che sì rispose infine, sorpreso. La felicità si trova in tante piccole cose. Devi soltanto tenere gli occhi ben aperti e la vedrai anche tu, spiegò il Grosso Orso.”

Il Grosso Orso ascolta attento il racconto di Piccolo Orso e gli regala la sua saggezza e la sua capacità di saper guardare tante cose insieme, come sanno fare i grandi, per poi restituirgliele ordinate e legate da un significato. Il Piccolo Orso ascolta le parole di Grosso Orso e comprende di aver fatto un’esperienza importante che non avrebbe saputo descrivere meglio.

Bravo, Piccolo Orso!

L’OCA  MARTINA

La relazione sarà il tema di questo testo.

La relazione è un contenitore molto importante nella crescita del bambino ma in realtà è un tema che caratterizza la vita di tutti gli individui poiché l’incontro fra le persone crea legami relazionali.

Molti studiosi si sono occupati di analizzare la relazione che continua ad essere fonte di ispirazione e di scoperte che ancora sorprendono.

Possiamo pensare alla relazione da prospettive differenti, alcune mettono in evidenza gli aspetti relazionali che definiscono l’identità del singolo come Bowlby, altri hanno approfondito come l’incontro con l’altro crei un campo, come sosteneva Bion, all’interno del quale le persone si scoprono capaci di sentire l’altro e di sentire empatia e reciprocità. Con le neuroscienze, infine, questi aspetti della relazione si sono arricchiti di nuovi contenuti. Seigel, mette in evidenza quanto l’altro e la relazione siano il punto di partenza per creare una risonanza che ci permette di riconoscere lo stato d’animo altrui come nostro, grazie all’attivazione dei neuroni specchio.

Si, ma la relazione come la spiego?

E poi mi è venuta in mente l’oca Martina.

Ho letto l’Anello di re Salomone di Lorenz quando ero ragazzina e ricordo poco nulla del testo ma dell’oca Martina mi ricordo, eccome.

Konrand Lorenz era un etologo specializzato nell’osservazione del comportamento animale e ha lasciato un concetto importante, l’imprintig, cioè:

“l’impronta che un cucciolo o un bambino riceve nella prima infanzia dalla famiglia e dall’ambiente circostante.”  K. Lorenz

La sua riflessione ci riporta alla storia allargata della famiglia che non si esaurisce con il singolo nucleo familiare. Questo pensiero viene confermato dall’osservazione delle competenze innate e istintive che il bambino possiede già alla nascita e che utilizza per creare una relazione con i genitori. Riconosce immediatamente la madre in quanto durante gli ultimi mesi di gestazione era già in grado di ascoltarne la voce e di sentirne l’odore.

Lorenz, volendo evidenziare gli aspetti e i comportamenti istintivi nella relazione primaria, osservò la nascita di un gruppo di oche selvatiche covate da oche domestiche. L’esperimento e la descrizione dell’incontro con questa piccola oca la lascio alle sue parole che ben trasmettono l’emozione, lo smarrimento e infine la resa a questa relazione così speciale.

“Era giunto il grande momento: per ventinove giorni avevo covato le mie venti preziose uova di oca selvatica; o meglio, io stesso le avevo covate solo negli ultimi due giorni, affidandole per quelli precedenti a una grossa oca domestica bianca e a un altrettanto grossa e bianca tacchina, che avevano assolto il compito molto più affettuosamente e adeguatamente di me. Solo negli ultimi due giorni io avevo tolto alla tacchina le dieci uova biancastre, ponendole nella mia incubatrice (mentre l’oca domestica doveva covare fino alla fine le sue dieci uova). Io volevo spiare ben bene il momento in cui sarebbero sgusciati fuori i piccoli, e ora quel momento fatidico era arrivato.

La mia prima ochetta selvatica era dunque venuta al mondo, e io attendevo che, sotto il termoforo che sostituiva il tiepido ventre materno, divenisse abbastanza robusta per poter ergere il capo e muovere alcuni passetti.

La testina inclinata, essa mi guardava con i suoi grossi occhi scuri; o meglio, con un solo occhio, perché, come la maggior parte degli uccelli, anche l’oca selvatica si serve di un solo occhio quando vuole ottenere una visione molto netta. A lungo, molto a lungo mi fissò l’ochetta, e quando io feci un movimento e pronunciai una parolina, quel minuscolo essere improvvisamente allentò la tensione e “mi salutò”: col collo ben teso e la nuca appiattita, pronunciò rapidamente il verso con cui le oche selvatiche esprimono i loro stati d’animo, e che nei piccoli suona come un tenero, fervido pigolio. Il suo saluto era identico, preciso identico a quello di un’oca selvatica adulta, identico al saluto che essa avrebbe pronunciato migliaia e migliaia di volte nel corso della vita; ed era come se anche lei mi avesse già salutato migliaia e migliaia di volte nello stesso identico modo. Neppure il migliore conoscitore di questo cerimoniale avrebbe potuto comprendere che quello era il primo saluto della sua vita. E io non sapevo ancora quali gravosi doveri mi ero assunto per il fatto di aver subito l’ispezione del suo occhietto scuro e di aver provocato con una parola imprevidente la prima cerimonia del saluto.”  K. Lorenz

La piccola oca venne chiamata Martina e scelse Lorenz come suo caregiver.

“In una relazione che si sviluppa felicemente ciascuno dei partner si adatta all’altro.”    J. Bowlby

Dopo la nascita la famiglia è assorbita dalle cure del bambino, si adegua ai suoi ritmi naturali, il sonno, la pappa i pianti, a volte inconsolabili, con i quali il bambino esprime il suo disappunto per la lontananza dal corpo della madre, la paura di non vedere il suo viso lì vicino, e la rabbia nel non sentire il soddisfacimento immediato del suo bisogno.

Sette lunghi mesi durante i quali il bambino inizia inconsapevolmente a prendere il suo posto nel sistema familiare.

Ci vuole un po’ perché i genitori e il bambino trovino un loro ritmo per aggiustamenti progressivi. La comunicazione si arricchisce di sorpresa ed emozione che se non taciuta si trasforma in parole, in canzoncine e piccoli giochi.

I genitori utilizzano quella comunicazione e quella stessa cura che hanno ricevuto a loro volta e che con molta sorpresa ricordano come se non il tempo non fosse passato.

Com’è facile creare rituali e saperi che si tramandano per generazioni!

Il bambino cullato impara a sentire il tempo, nell’attesa impara la pazienza e nel ritrovare il viso della mamma impara la resilienza.

La relazione è davvero uno spazio ricchissimo e pieno di sorprese.

Accoglie, rassicura, aggiusta, ascolta e fa tornare il sorriso quando tutto si complica.

È proprio il posto giusto per fare le prove di crescita e mostrare a mamma e papà le conquiste quotidiane, se non si allontanano troppo.

Guardami!

Il bambino inizia a fare le sue prove di indipendenza, si allontana un po’ e sperimenta la vastità del mondo che lo circonda a patto che possa includerli sempre i genitori nel suo campo visivo, ma piano piano gli basterà la voce e poi quando sarà il momento potrà sperimentare la solitudine.

Sono bravissimo

E’ pronto per fare un passo in più nella crescita perché adesso può procedere anche se papà e mamma non sono sempre presenti. Li ha nel cuore, nella memoria e nel pensiero e la sua curiosità lo spinge sempre un po’ più in là alla scoperta del mondo.

Pronto per partire per questo viaggio, come i grandi, metto tutto nello zaino; l’orsetto che mi fa compagnia, le parole, i no che mi fanno arrabbiare, i sorrisi della mamma, le sorprese, le costruzioni di papà, i regali, i biscotti della nonna, una mappa per la strada e una torcia che non si sa mai.

Il viaggio per diventare grande cambia definitivamente la sua prospettiva, la protezione dei genitori alle spalle lo rassicura a sufficienza per guardare avanti a sé scoprendo non solo il mondo ma anche l’adulto che diventerà con le sue caratteristiche uniche.

È il momento di scoprire il suo proprio modo di agire sull’ambiente, di pensare, di fare progetti e di sentire, aggiungendo il suo contributo personale alla storia della sua grande famiglia.

Pronti,…..via!

“La sensibilità che i genitori mostrano rispetto ai messaggi non verbali inviati dal bambino è essenziale per lo sviluppo di un attaccamento sicuro (Ainsworth), attraverso processi che ci rivelano come, a qualsiasi età, il nostro “modo di essere” con un’altra persona possa permettere lo stabilirsi di una comunicazione emozionale e di un senso di connessione. In questi scambi di segnali le attività dei cervelli di due individui si influenzano reciprocamente in una sorta di “co-regolazione.”  Fosha, Solomon, Seigel

RACCONTAMI LA MIA STORIA

Quando si impara ad ascoltare la narrazione delle storie?

Difficile pensare che i racconti prima di essere parole siano sensazioni, intuizioni, pensieri e solo poi parole.

Tutto il corpo viene coinvolto in questo ascolto e inizia quando inizia la vita.

La storia individuale attraversa le generazioni e si allunga di nascita in nascita creando un filo fra le persone che si arricchisce grazie alla storia di ogni singolo nato, e per quanto la gestazione sia un periodo sospeso e di attesa, è anche un periodo nel quale ci si sente parte di una grande famiglia che cresce.

“Nelle gestanti, la percezione corporea di contenere riattiva quella di essere state contenute, l’aver dentro suscita il ricordo dell’essere stato dentro, un ricordo che rinvia alla propria madre, per cui i tempi della gravidanza sono tre: passato, presente e futuro.” (Silvia Vegetti Finzi)

E allora è importante che la storia del bambino abbia spazio già nel pensiero degli adulti, dei propri genitori, che durante la sua attesa immaginano, pensano, fantasticano proiettandolo nel futuro per poi tornare al presente, pronti per l’incontro con il bimbo, che da immagine diventa reale.

“Il figlio tanto atteso, il bambino nella testa, fatto di immagini cangianti ed evanescenti, da quando ha trafitto il suo corpo non sarà più un possesso esclusivo ma una presenza autonoma un essere indipendente che vive in lei i grazie a lei ma non gli appartiene.” (Silvia Vegetti Finzi)

Raccontami com’ero quando ero piccolo, ma non una volta sola, tante volte e poi raccontami ancora.

Il bambino ascolta la sua storia che lo trasporta nel suo ambiente familiare. La storia crea un senso del tempo che dal passato gli permette di guardare al futuro con meno apprensione, diventerai grande come il tuo papà o la tua mamma.

La rassicurazione di essere accudito e guidato dallo sguardo dei genitori che sanno significare le cose che accadono e ascoltando la condivisione delle loro esperienze, gli permette di sentirsi sicuro e di dirigere lentamente lo sguardo verso il mondo con curiosità crescente.

La comunicazione che all’inizio della vita passa attraverso il contatto corporeo si arricchisce di parole. All’inizio sono parole di cura, e poi diventano le storie della buonanotte, poi le storie di paura, poi le storie dei supereroi o delle principesse e poi le storie autobiografiche e infine le storie del bambino che raccontano il suo mondo, le scoperte e le emozioni.

Le parole e i racconti diventano un utile strumento per incontrare l’altro, per mettere ordine nei pensieri, per fare progetti e per creare una distanza dalle emozioni.

Il bambino passa dalla rabbia nei confronti dell’oggetto alla costruzione di progetti per sé o con i coetanei.

Facciamo la pista del treno che supera il ponte e poi gira, poi c’è la galleria e poi la stazione.

….e poi al gioco non si arriva perché in realtà il gioco vero è la costruzione stessa del gioco, raccontandolo e poi disegnandolo.

“Attraverso le nostre storie personali, il racconto dell’esperienza della nostra vita, possiamo sviluppare la conoscenza e la comprensione che abbiamo di noi stessi e dei nostri rapporti con gli altri.” (D.J.Seigel – M. Hartzell)

Il racconto autobiografico, quindi, risponde al bisogno profondo del bambino di comprendere sé e la realtà che lo circonda, gli adulti costruiscono per lui gli  strumenti per facilitargli la comprensione dei suoi vissuti e delle sue emozioni, scegliendo parole semplici e adatte alla sua giovane età.

Quando eri piccolo e il papà andava al lavoro ti vedevo molto triste, a volte era molto difficile aspettare il suo ritorno, ma c’erano tante cose da fare e la tristezza passava, perché la tristezza è un po’ così, arriva e sembra che non passerà mai, ma passa. Meno male!

Il bambino si sente compreso e riconosciuto, può finalmente affrontare lo smarrimento di non saper dare voce alle sensazioni attraverso le parole suggerite dalle figure di riferimento e dalle immagini che esse suscitano.

Inizia a riconoscersi come protagonista delle sue esperienze, una dopo l’altra, anche se non ne è consapevole, fino alla costruzione di un’identità individuale che lo definirà come persona.

La storia racchiude, quindi, il senso di chi siamo e se raccontata ad alta voce diventa la nostra base sicura a cui far ritorno quando lo sentiamo necessario.