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L’ARTE DI SAPERSI FERMARE: LE PAUSE

“Quando senti che sei pronto puoi riprendere a giocare.”

Mi ritrovo spesso a dire questa frase ai bambini quando di fronte alla fatica nel gioco si scoprono disorientati. Vorrebbero continuare a correre ma hanno il fiatone, la costruzione della torre non è finita ma subentra la noia…. 

Non sanno come far spazio alla pausa in modo sereno, il pensiero dell’ineluttabilità del tempo è un compagno di giochi impegnativo. Ma le pause servono, sono importanti, e fare l’esperienza di sopravvivere al cambiamento che l’interruzione suggerisce, lo è ancora di più.  

Sono sempre più sicura che le pause racchiudano il senso delle cose. 

Penso che saper mettere la punteggiatura in un testo scritto sia la parte più complessa della scrittura: virgola o punto, pausa lunga o breve, respiro lungo o solo un attimo? Tutte queste riflessioni per capire quale direzione imprimere al testo, drammatico, descrittivo, prescrittivo, soave, diario. 

Testo e punteggiatura. 

Pause impercettibili cadono e si fanno spazio fra le parole facendole danzare finché non trovano il loro posto.

Nella scrittura, così come nella musica, nella danza, le pause sono la punteggiatura, accompagnano il lettore, mentre l’emozione delle parole sposta l’attenzione sulla vitalità del movimento, definendone l’armonia.

Se movimento e pause co-esistono, bilanciandosi vicendevolmente, la vita diventa più leggera. 

Il tempo è un tema estremamente vasto, permea il corso della vita e definisce il ritmo delle esperienze,  e dei sentimenti: tempo, spazio, fantasia, concretezza, tristezza, gioia. 

Per i bambini la percezione del tempo è materia complessa: pensano che l’altezza definisca l’età delle persone mentre il piacere del gioco, la noia, il desiderio di vicinanza siano l’orologio che scandisce la durata delle loro attività, della loro vita; così come l’esperienza, relazione, emozioni ne sono, invece, la punteggiatura. 

Difficile definire la priorità di una rispetto all’altra. Il bisogno del bambino si esprime in modo confuso e sta all’adulto immaginare e trovare le parole che descrivano per lui questo bisogno. 

A volte bastano parole di presenza e conforto. 

Le parole possono diventare un dondolio che accoglie l’agitazione del bambino e lo consola lentamente, aiutandolo a ritrovare calma e ascolto di sé. 

Senza fare troppa attenzione, genitore e bambino fanno un salto indietro, nel loro passato, quando il neonato veniva cullato nell’abbraccio e si sentiva sicuro e protetto.  

Il neonato inizia ad avere la percezione del tempo proprio quando viene cullato, accudito e accompagnato ad ascoltare la voce della madre che ascoltava già nella pancia. 

Ascolta parole, respiro, attese che insieme diventano una prosodia, un ritmo che gli insegnerà a parlare, raccontare di sé, del suo mondo. 

Porges, nella Teoria Polivagale sottolinea l’importanza della prosodia come strumento per imparare e  per ritrovare serenità, calma nei momenti di agitazione e fatica. Suggerisce l’uso di canzoni semplici ma cantate in modo chiaro. Un tono di voce non troppo basso, ritmo della voce, contatto sono sufficienti per tornare in ascolto del proprio sentire, per acquietare le emozioni. In un tempo sufficientemente breve, l’esperienza ripetuta diventa per il bambino capacità di ritrovare autonomamente la quiete, autoregolando  corpo, emozioni, sentimenti. 

Le pause, in pratica. 

Ogni tanto mi succede di lasciare che bambini e genitori giochino insieme con gli strumenti musicali.  Osservo, attendo, perché so che se il gioco non viene disturbato arriveranno a costruire un ritmo che nasce spontaneamente e diventa armonia. È un’esperienza antica che tutti hanno vissuto, semplice da ritrovare nella memoria corporea e se, nel passato, è stata attraversata da ricordi positivi può facilmente essere utilizzata nell’esperienza presente con i bambini. 

Si crea una Risonanza….ovvero un incontro, relazione, stupore, ricordi.

“La sintonizzazione delle nostre emozioni primarie attraverso lo scambio di segnali verbali porta ad instaurarsi di uno stato di risonanza. Possiamo continuare a sentire gli effetti di tale risonanza anche quando stiamo fisicamente separati dall’altra persona; questa esperienza sensoriale diventa parte del nostro ricordo dell’altro: l’altra persona diventa così parte di noi.” D. Seigel 

La risonanza si trasforma nella personale capacità dell’individuo di sentire, creare una relazione significativa con l’altro che è un po’ uguale a sé e un po’ diverso.

Per un bambino piccolo che viene spesso guidato dall’urgenza del suo bisogno espresso urlando o facendo resistenza alle proposte dell’adulto è sicuramente un compito complesso. 

Aiutami a capire!

L’esperienza dell’adulto nel saper dare un nome ad un’emozione che arriva e travolge è utile per creare un ritmo che contenga, emozioni, malessere, fatica, trasformandoli con parole attente in un incontro in cui bambino e adulto procedono con lo stesso tempo fino a ritrovare la calma. 

Casa…

“Quando una relazione interpersonale prevede momenti di risonanza, può generare un potente senso di unione con l’altro, che è fonte di sicurezza ed energia e che non si esaurisce con il dissolversi dello stato di coinvolgimento emotivo; i processi di risonanza permangono sotto forma di ricordi, pensieri, sensazioni e immagini che si riferiscono all’altra persona e alla nostra relazione con lei.” D. Seigel 

Le pause sono perfette così come sono…..non vanno riempite, vanno ascoltate. 

 

“Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi.” C. Pavese