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LO SGUARDO DELLA RELAZIONE

“Adesso tocca me, non ho giocato per niente.” – Mara

“Si che hai giocato, mi hai guardato!” – Andrea, 4 anni

Mi piace osservare i cambiamenti che lo sguardo racconta.

È come seguire un racconto solo leggendo le sfumature dello sguardo. Quando si apre, di fronte alla sorpresa o si perde assorto, seguendo il filo dei pensieri. Immagina e costruisce progetti. Si chiude arrabbiato con le sopracciglia che disegnano una V sulla fronte, e, poi, si spegne, triste, per un gioco rotto o i no della mamma e del papà. Si contrae per lo spavento, per suoni forti o movimenti inaspettati, si commuove quando ascolta il cuore.

Lo sguardo ha la capacità di descrivere chi lo vive e di raccontare con magistrale competenza il suo sentire, a volte, molto meglio delle parole che non sempre sono in accordo con l’ascolto del corpo.

Lo sguardo diventa espressione del sentire.

Il bambino impara molto presto a guardare ciò che lo circonda. I suoi occhi si aprono durante la gestazione e iniziano ad interagire con la madre e l’ambiente.

I sensi si sviluppano molto presto e diventano lo strumento che permette al bambino di iniziare a costruire una relazione con la sua mamma.

La può toccare, annusa l’odore del liquido amniotico e, con gli occhi, mese dopo mese, inizia ad incontrare la luce e l’ombra. Nella pancia, il corpo della madre diventa un contenitore che racconta emozioni, ansie, stati d’animo, il futuro, e il feto rimane in ascolto di ciò che lo circonda.

Dopo la nascita i sensi gli permettono di continuare a sviluppare le sue capacità relazionali in risonanza con la madre e con il padre. Il bambino riconosce la voce della madre, familiare e unica, tanto da poterla distinguere fra tante altre voci. L’odore è un altro elemento relazionale importante e infine, attraverso, lo sguardo incontra e guarda la madre.

E lo sguardo che mamma e bambino si scambiano è un caldo abbraccio che rassicura entrambi.

“Che cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre? Secondo me di solito ciò che il lattante vede è sé stesso. In altre parole la madre guarda il bambino e ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge.” (D. W. Winnicot)

Lo sguardo e il corpo iniziano un racconto.

La parola non è ancora necessaria per creare una relazione perché, in questa fase della vita gli sguardi lunghi e ripetuti durante l’allattamento, accompagnano le parole della mamma e catturano completamente l’attenzione del bambino che rimane assorto, rassicurato dalla vicinanza del corpo  della madre, in risonanza.

Mi sento al sicuro, vicino a te!

“I sensi sono punti di contatto con l’ambiente e la mente esercitandosi ad osservare l’ambiente acquista l’uso più raffinato di questi organi, come un pianista può trarre dalla stessa tastiera suoni che possono variare in perfezione infinita.”  (M. Montessori)“

Attraversato da innumerevoli sfumature, lo sguardo, si sviluppa e il bambino ne diventa consapevole  grazie alle parole della mamma e del papà che trovano tanti, infiniti modi per descrivere le espressioni, con cui manifesta emozioni e sentimenti. Insieme inventano piccoli rituali e giochi che iniziano a definire una comunicazione e soprattutto una relazione loro.

Lo sguardo diventa relazionale.

Ed è proprio in questo periodo della vita, quando la crescita impone nuove distanze fra il corpo del bambino e quello dei genitori, che lo sguardo diventa la bussola per non perdersi.

Rimane custode delle emozioni ma assume nuovi significati. Da una parte sostiene la scoperta del mondo e dall’altra mantiene il legame con i genitori nella distanza che, via via, si rende necessaria per diventare grandi. E nell’atto di scoprire il mondo, il bambino si cimenta nella costruzione del pensiero.

Vista e mani imparano a fare…insieme.

C’è prima la fase di anticipazione: la mano “vede” l’oggetto da afferrare e vi adatta la sua presa; poi il contatto manda al cervello informazioni ricevute dai sensi. In seguito vi è al momento della cognizione, quando si dà un nome a ciò che si tocca, e si conclude con la riflessione su ciò che si è appena fatto. Questo ciclo ha bisogno di numerose prove per essere completato. Non disturbiamo quindi un bambino impegnato in un’attività. (G. H. Fresco).

Poco alla volta, il bambino affida agli adulti il compito di mantenere, attraverso lo sguardo, una vicinanza rassicurante che permetta loro di seguire le sue azioni da lontano:

guardami!

Nel tempo, però, impara a trasformare lo sguardo degli adulti in un ricordo che rimane anche quando questi sono lontani, consola nei momenti di lontananza, diventa un pensiero che si trasforma in memoria, e, infine, in simbolo, fino ad  imparare ad immaginare.

Il suo sguardo cambia. Il sorriso lascia il posto ad una apparente serietà. Il bambino è attento alle sue mani, se stanno creando qualcosa, al corpo se è impegnato in una corsa.

Nello sguardo sono racchiuse le emozioni del legame e della relazione con i genitori ma questo racconta, anche, il suo modo di partecipare e rispondere ai cambiamenti che l’ambiente richiede. Scopre il suo unico modo personale di guardare, pensare, ricordare, immaginare.

E inizia a relazionarsi con il mondo.

“La memoria non è solo ciò che possiamo ricordare consciamente del passato; secondo una definizione molto ampia, è l’insieme dei processi con cui gli eventi del passato influenzano le risposte future; il cervello interagisce con il mondo e registra le diverse esperienze attraverso meccanismi che modificano le successive modalità di reazione.”  (D. J. Seigel)

Se si presta molta attenzione, questo è proprio il momento in cui è possibile vedere la nascita del pensiero.

Compare una concentrazione che prima si poteva vedere per brevi momenti, spostata dall’istinto e  dal bisogno del corpo di muoversi. La sua presenza viene sottolineata dal silenzio e dalla pazienza di provare e riprovare fino ad ottenere il risultato dell’azione soltanto immaginato. In un tempo che si allunga, il pensiero accompagna azione e movimento. Ed è ora che fa capolino la creatività, sostiene le scoperte del bambino e lo aiuta ad ascoltare, senza paura, il desiderio di superare i suoi limiti, confrontandosi con l’inaspettato.

Il bambino impara ad imparare.