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L’OCA  MARTINA

La relazione sarà il tema di questo testo.

La relazione è un contenitore molto importante nella crescita del bambino ma in realtà è un tema che caratterizza la vita di tutti gli individui poiché l’incontro fra le persone crea legami relazionali.

Molti studiosi si sono occupati di analizzare la relazione che continua ad essere fonte di ispirazione e di scoperte che ancora sorprendono.

Possiamo pensare alla relazione da prospettive differenti, alcune mettono in evidenza gli aspetti relazionali che definiscono l’identità del singolo come Bowlby, altri hanno approfondito come l’incontro con l’altro crei un campo, come sosteneva Bion, all’interno del quale le persone si scoprono capaci di sentire l’altro e di sentire empatia e reciprocità. Con le neuroscienze, infine, questi aspetti della relazione si sono arricchiti di nuovi contenuti. Seigel, mette in evidenza quanto l’altro e la relazione siano il punto di partenza per creare una risonanza che ci permette di riconoscere lo stato d’animo altrui come nostro, grazie all’attivazione dei neuroni specchio.

Si, ma la relazione come la spiego?

E poi mi è venuta in mente l’oca Martina.

Ho letto l’Anello di re Salomone di Lorenz quando ero ragazzina e ricordo poco nulla del testo ma dell’oca Martina mi ricordo, eccome.

Konrand Lorenz era un etologo specializzato nell’osservazione del comportamento animale e ha lasciato un concetto importante, l’imprintig, cioè:

“l’impronta che un cucciolo o un bambino riceve nella prima infanzia dalla famiglia e dall’ambiente circostante.”  K. Lorenz

La sua riflessione ci riporta alla storia allargata della famiglia che non si esaurisce con il singolo nucleo familiare. Questo pensiero viene confermato dall’osservazione delle competenze innate e istintive che il bambino possiede già alla nascita e che utilizza per creare una relazione con i genitori. Riconosce immediatamente la madre in quanto durante gli ultimi mesi di gestazione era già in grado di ascoltarne la voce e di sentirne l’odore.

Lorenz, volendo evidenziare gli aspetti e i comportamenti istintivi nella relazione primaria, osservò la nascita di un gruppo di oche selvatiche covate da oche domestiche. L’esperimento e la descrizione dell’incontro con questa piccola oca la lascio alle sue parole che ben trasmettono l’emozione, lo smarrimento e infine la resa a questa relazione così speciale.

“Era giunto il grande momento: per ventinove giorni avevo covato le mie venti preziose uova di oca selvatica; o meglio, io stesso le avevo covate solo negli ultimi due giorni, affidandole per quelli precedenti a una grossa oca domestica bianca e a un altrettanto grossa e bianca tacchina, che avevano assolto il compito molto più affettuosamente e adeguatamente di me. Solo negli ultimi due giorni io avevo tolto alla tacchina le dieci uova biancastre, ponendole nella mia incubatrice (mentre l’oca domestica doveva covare fino alla fine le sue dieci uova). Io volevo spiare ben bene il momento in cui sarebbero sgusciati fuori i piccoli, e ora quel momento fatidico era arrivato.

La mia prima ochetta selvatica era dunque venuta al mondo, e io attendevo che, sotto il termoforo che sostituiva il tiepido ventre materno, divenisse abbastanza robusta per poter ergere il capo e muovere alcuni passetti.

La testina inclinata, essa mi guardava con i suoi grossi occhi scuri; o meglio, con un solo occhio, perché, come la maggior parte degli uccelli, anche l’oca selvatica si serve di un solo occhio quando vuole ottenere una visione molto netta. A lungo, molto a lungo mi fissò l’ochetta, e quando io feci un movimento e pronunciai una parolina, quel minuscolo essere improvvisamente allentò la tensione e “mi salutò”: col collo ben teso e la nuca appiattita, pronunciò rapidamente il verso con cui le oche selvatiche esprimono i loro stati d’animo, e che nei piccoli suona come un tenero, fervido pigolio. Il suo saluto era identico, preciso identico a quello di un’oca selvatica adulta, identico al saluto che essa avrebbe pronunciato migliaia e migliaia di volte nel corso della vita; ed era come se anche lei mi avesse già salutato migliaia e migliaia di volte nello stesso identico modo. Neppure il migliore conoscitore di questo cerimoniale avrebbe potuto comprendere che quello era il primo saluto della sua vita. E io non sapevo ancora quali gravosi doveri mi ero assunto per il fatto di aver subito l’ispezione del suo occhietto scuro e di aver provocato con una parola imprevidente la prima cerimonia del saluto.”  K. Lorenz

La piccola oca venne chiamata Martina e scelse Lorenz come suo caregiver.

“In una relazione che si sviluppa felicemente ciascuno dei partner si adatta all’altro.”    J. Bowlby

Dopo la nascita la famiglia è assorbita dalle cure del bambino, si adegua ai suoi ritmi naturali, il sonno, la pappa i pianti, a volte inconsolabili, con i quali il bambino esprime il suo disappunto per la lontananza dal corpo della madre, la paura di non vedere il suo viso lì vicino, e la rabbia nel non sentire il soddisfacimento immediato del suo bisogno.

Sette lunghi mesi durante i quali il bambino inizia inconsapevolmente a prendere il suo posto nel sistema familiare.

Ci vuole un po’ perché i genitori e il bambino trovino un loro ritmo per aggiustamenti progressivi. La comunicazione si arricchisce di sorpresa ed emozione che se non taciuta si trasforma in parole, in canzoncine e piccoli giochi.

I genitori utilizzano quella comunicazione e quella stessa cura che hanno ricevuto a loro volta e che con molta sorpresa ricordano come se non il tempo non fosse passato.

Com’è facile creare rituali e saperi che si tramandano per generazioni!

Il bambino cullato impara a sentire il tempo, nell’attesa impara la pazienza e nel ritrovare il viso della mamma impara la resilienza.

La relazione è davvero uno spazio ricchissimo e pieno di sorprese.

Accoglie, rassicura, aggiusta, ascolta e fa tornare il sorriso quando tutto si complica.

È proprio il posto giusto per fare le prove di crescita e mostrare a mamma e papà le conquiste quotidiane, se non si allontanano troppo.

Guardami!

Il bambino inizia a fare le sue prove di indipendenza, si allontana un po’ e sperimenta la vastità del mondo che lo circonda a patto che possa includerli sempre i genitori nel suo campo visivo, ma piano piano gli basterà la voce e poi quando sarà il momento potrà sperimentare la solitudine.

Sono bravissimo

E’ pronto per fare un passo in più nella crescita perché adesso può procedere anche se papà e mamma non sono sempre presenti. Li ha nel cuore, nella memoria e nel pensiero e la sua curiosità lo spinge sempre un po’ più in là alla scoperta del mondo.

Pronto per partire per questo viaggio, come i grandi, metto tutto nello zaino; l’orsetto che mi fa compagnia, le parole, i no che mi fanno arrabbiare, i sorrisi della mamma, le sorprese, le costruzioni di papà, i regali, i biscotti della nonna, una mappa per la strada e una torcia che non si sa mai.

Il viaggio per diventare grande cambia definitivamente la sua prospettiva, la protezione dei genitori alle spalle lo rassicura a sufficienza per guardare avanti a sé scoprendo non solo il mondo ma anche l’adulto che diventerà con le sue caratteristiche uniche.

È il momento di scoprire il suo proprio modo di agire sull’ambiente, di pensare, di fare progetti e di sentire, aggiungendo il suo contributo personale alla storia della sua grande famiglia.

Pronti,…..via!

“La sensibilità che i genitori mostrano rispetto ai messaggi non verbali inviati dal bambino è essenziale per lo sviluppo di un attaccamento sicuro (Ainsworth), attraverso processi che ci rivelano come, a qualsiasi età, il nostro “modo di essere” con un’altra persona possa permettere lo stabilirsi di una comunicazione emozionale e di un senso di connessione. In questi scambi di segnali le attività dei cervelli di due individui si influenzano reciprocamente in una sorta di “co-regolazione.”  Fosha, Solomon, Seigel